Onorevoli Colleghi! - La presente proposta di legge intende offrire un'organica definizione normativa della partecipazione dei lavoratori alle attività d'impresa, intesa nella duplice accezione del riconoscimento ad essi di una compiuta rete di diritti di informazione e consultazione e della regolazione delle forme di rappresentanza dei lavoratori negli organi amministrativi delle società di capitali.
      La proposta di legge presentata è imperniata essenzialmente sui seguenti punti: a) riconoscimento per legge di una base minima di diritti di informazione e consultazione dei lavoratori, in applicazione tra l'altro di normative adottate dal Consiglio dell'Unione europea, con la possibilità di conseguire, per contratto collettivo, diritti ulteriori; b) valorizzazione della riforma dell'organizzazione interna della società di capitali, che consente alle società per azioni (Spa) la possibilità della «amministrazione opzionale», nel senso dell'adozione del cosiddetto «sistema dualistico» (consiglio di gestione e consiglio di sorveglianza), con la possibilità di immettere nel consiglio di sorveglianza un certo numero di rappresentanti della parte lavoratrice, in parte eletti dai dipendenti dell'impresa, in parte designati dai sindacati più rappresentativi; c) istituzione di comitati consultivi costituiti da rappresentanti dei lavoratori; d) previsione dell'obbligo delle imprese costituite in forma di società di pubblicare annualmente un rendiconto inerente la situazione complessiva dell'azienda; e) istituzione di piani di azionariato dei dipendenti.
      Negli ultimi venti anni la partecipazione dei lavoratori, intesa nelle diverse forme ricordate, si è diffusa nella maggior parte dei Paesi europei e oggi trova discipline legislative e/o contrattuali in tutti gli ordinamenti nazionali che fanno parte dello spazio economico europeo (ben oltre dunque i venticinque Stati membri del

 

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l'Unione europea), trovando una prima applicazione anche in alcuni Paesi che attendono tuttora l'ingresso nell'Unione. Questo sviluppo è avvenuto indipendentemente dall'iniziativa del legislatore comunitario e prima di essa: anzi, per molti versi l'ha influenzata. Varianti nazionali di ciascuna forma partecipativa si sono consolidate per effetto di leggi e/o di norme contrattuali, determinando un grado differente di partecipazione dei lavoratori ai processi decisionali ai vari livelli aziendali e societari, con efficacia e con diffusione diverse a seconda della fonte normativa dei diritti in questione. Pur nella diversità delle fonti e dei sistemi nazionali di relazioni collettive, i vari modelli di partecipazione presentano comunque una caratteristica comune: essi sono concepiti non come elementi a sé stanti, ma come parti di un sistema complesso di relazioni collettive nell'impresa che, partendo da uno «zoccolo» minimo di diritti di informazione dei lavoratori e/o dei loro rappresentanti nelle materie che interessano più direttamente i lavoratori (come la protezione della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, nonché la tutela dell'occupazione e delle condizioni di lavoro nelle situazioni di crisi e di ristrutturazioni aziendali), ha come obiettivo quello di coinvolgere il personale nelle decisioni gestionali più cruciali.
      Nel nostro Paese non sono mancati i tentativi di aprire nuove strade alla partecipazione dei lavoratori nelle imprese: ne sono testimonianza non solo le specifiche e circoscritte esperienze innovative fondate su accordi negoziali a livello di imprese, ma anche il progressivo e più generale mutamento di cultura e di valori.
      Va detto anzitutto che un contributo utile a rimuovere le resistenze di ordine ideologico e culturale che in passato hanno frenato la progettazione o la concreta implementazione di ipotesi innovative, nel campo del coinvolgimento e della partecipazione del personale, deriva da una maturazione del pensiero economico in sede non solo accademica ma anche nelle associazioni e da una maggiore conoscenza reciproca dei sistemi nazionali di relazioni industriali da parte dei dirigenti e dei rappresentanti sindacali dei vari Paesi. Tale maturazione è stata favorita - oltre che dal processo di integrazione europea - dal concreto operare degli strumenti di rappresentanza sindacale in ambito europeo, tra i quali è doveroso ricordare l'esperienza applicativa della direttiva 94/45/CE del Consiglio, del 22 settembre 1994, recante l'istituzione di un comitato aziendale europeo, che ha contribuito a formare una cultura transnazionale della rappresentanza e della partecipazione, inducendo l'attore sindacale e aziendale a comportamenti diversi e integrati che allargano la mera prassi contrattuale.
      Le ragioni dell'espandersi di spazi partecipativi su base volontaristica in Italia sono molteplici, e non conta in questa sede darne una rassegna esaustiva. È sufficiente osservare che senza porsi in funzione sostitutiva dei modelli tradizionali di relazioni collettive basati sul binomio conflitto/contrattazione, le forme partecipative sperimentate in Italia rappresentano per gli attori sindacali una risorsa aggiuntiva nel fronteggiare le difficoltà spesso incontrate nella contrattazione collettiva intesa quale processo negoziale solo «acquisitivo», nonché per favorire le tendenze aziendali innovative verso forme di coinvolgimento dei lavoratori condotte non solo mediante tecniche di pura gestione delle risorse umane, con allargamento delle responsabilità sociali dell'impresa.
      Al contempo la partecipazione viene considerata anche come una soluzione funzionale alle esigenze di competitività del sistema economico, nonché di positivo sviluppo della persona in azienda. In questo senso essa rappresenta uno strumento assai utile per l'impresa e per la società anche al fine di ridurre le occasioni di conflitto e realizzare, con il consenso preventivo dei lavoratori e delle loro rappresentanze, quelle condizioni tecnico-organizzative ormai necessarie per affrontare il mercato globale.
      La diffusione di «dinamiche» o di «pratiche» partecipative, variamente organizzate e denominate, rappresenta dunque una opportunità per le imprese, per il
 

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personale, per il sindacato e per la società tutta. La cooperazione intelligente della forza lavoro nel processo produttivo è considerata infatti un elemento importante, perché consente una migliore crescita professionale e umana del personale così come una più efficace attuazione dei sistemi organizzativi che hanno bisogno del contributo attivo di tutti coloro che hanno interesse al loro continuo miglioramento; il che rappresenta qualcosa di più del mero consenso o della semplice «pace sociale». In tali sistemi la cooperazione è indispensabile per ottenere anche quella flessibilità che è la condizione preliminare per la realizzazione di forme di riorganizzazione che garantiscano la competitività delle imprese. In questo senso essa rappresenta un bene comune alla società, all'impresa e ai lavoratori: è un «bene collettivo».
      D'altra parte, un'alleanza con i lavoratori e con i sindacati viene ritenuta particolarmente vantaggiosa per le imprese durante i periodi di profonda ristrutturazione, quando esse sono particolarmente vulnerabili e bisognose di legittimazione sociale o, addirittura, di appoggio nei confronti delle pubbliche istituzioni a cui chiedono sostegno finanziario, e nei confronti dei lavoratori «eccedenti» su cui gravano i costi delle eventuali riorganizzazioni.
      L'esperienza italiana della partecipazione, fatta inizialmente di prassi informali, ed espressa nelle forme rudimentali e non formalizzate dell'informazione e della consultazione dei lavoratori, si è in seguito irrobustita e istituzionalizzata negli strumenti di amministrazione congiunta dei contratti e negli organismi paritetici di informazione e di esame congiunto, per arrivare da ultimo a forme partecipative più incisive, capaci addirittura di ridefinire le modalità del processo decisionale aziendale. Come dimostrano, tra le altre, le vicende relative a molti casi aziendali di partecipazione, questo tipo di partecipazione comporta vincoli assai superiori a quelli derivanti dalla logica negoziale tradizionale, perché richiede atteggiamenti e «mestieri» sensibilmente diversi: da parte imprenditoriale, perché comporta una apparente riduzione della piena autonomia delle prerogative manageriali, da parte sindacale perché accresce il grado di responsabilità dei lavoratori verso l'impresa. Si tratta di un gioco «a somma positiva», che combina l'esigenza di condividere gli obiettivi dell'azienda con una diversa distribuzione della responsabilità e del potere interno a questa.
      La stessa contrattazione collettiva a livello di impresa assume le forme «partecipative» di una microconcertazione, che si traduce in una comune accettazione di obiettivi, di vincoli e di compatibilità. In questi casi, la frontiera mobile che separa il conflitto dalla partecipazione sembra lasciare spazio a politiche gestionali che combinano i criteri di efficienza e di produttività con il riconoscimento dei più avanzati diritti di cittadinanza nei luoghi di lavoro e di democrazia economica, allineati alle più recenti enunciazioni del legislatore comunitario.
      Questa tendenziale convergenza strategica di obiettivi non è comunque priva di incertezze nel nostro sistema di relazioni collettive, come dimostrano anche i casi di fallimento di esperienze partecipative, e richiede certo tempi lunghi per consolidarsi in una rete di accordi stabili e generalizzati, la cui fattibilità e resistenza sono peraltro condizionate dalla mancanza non solo di una cornice legislativa, ma anche di accordi quadro capaci di sollecitare e di stabilizzare le prassi partecipative. Di converso, l'analisi comparata insegna che l'attivazione di processi partecipativi si manifesta in quei Paesi che apprestano una disciplina legislativa ad hoc, quindi con il peso determinante di iniziative assunte nella sfera politico-istituzionale, non di rado precedute da intese tra gli attori sociali nelle sedi concertative.
      L'introduzione di elementi di partecipazione dei lavoratori nella gestione delle imprese per via legislativa ha dunque una importante funzione stabilizzatrice, perché rende oggettive e obbligatorie erga omnes procedure di informazione e consultazione in larga parte già istituite con la contrattazione collettiva in quasi tutti i settori
 

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produttivi. Per questo tipo di imprese, infatti, si dispone generalmente l'adozione, accanto agli organi tradizionali, di nuovi istituti che prevedono forme di rappresentanza tali da soddisfare con opportune garanzie gli interessi dei lavoratori nell'ambito dell'attività aziendale.
      La presente proposta di legge tiene conto delle esperienze realizzate in Italia e intende promuovere un equilibrio tra normativa e prassi, tra legge e contrattazione collettiva, tra sostegno e cornice regolativa, tra impulso politico-istituzionale e indispensabile ruolo delle parti.
      Per quanto riguarda, più in particolare, la partecipazione economica è opportuno ricordare che i processi di riallocazione del capitale indotti dalla globalizzazione dei mercati e dai processi di privatizzazione aprono nuove prospettive alla partecipazione dei dipendenti al capitale e alla governance di impresa.
      La trasformazione della struttura proprietaria delle società verso la diffusione dell'azionariato e una maggiore contendibilità degli assetti di controllo, da un lato, e la crescente importanza assunta dal «capitale umano» nella creazione di valore delle imprese, dall'altro, sono fattori che spingono verso un superamento della tradizionale divisione «soggettiva» tra capitale e lavoro sotto il profilo delle responsabilità nei confronti della conduzione dell'impresa e delle relative fonti di reddito (profitti per il capitale, redditi da lavoro dipendente per il lavoro). In questa direzione va anche l'evoluzione dell'allocazione del risparmio dei lavoratori, e in particolar modo del risparmio previdenziale, che tende a spostarsi da un'intermediazione fortemente pubblica attraverso il debito pubblico e un regime pensionistico a ripartizione, verso forme di impiego orientato al mercato azionario, soprattutto in un'ottica di lungo periodo. Tali fattori stanno creando un quadro in cui l'azionariato dei dipendenti viene ad assumere una connotazione «fisiologica» all'interno del funzionamento dell'economia di mercato non tanto in funzione redistributiva, quanto soprattutto nella realizzazione della funzione di impresa in un'ottica orientata alla creazione di valore.
      Non a caso le esperienze più significative di azionariato dei dipendenti si sono sviluppate nei Paesi, in particolare in quelli anglosassoni, in cui i processi descritti sono più avanzati e in cui la crescita del coinvolgimento dei lavoratori nel capitale delle imprese è stata incoraggiata attraverso adeguate politiche di incentivazione. All'interno dei modelli maggiormente orientati al mercato, caratterizzati dalla prevalenza delle public company e delle forme «istituzionalizzate» di gestione del risparmio diffuso, l'azionariato dei dipendenti svolge un ruolo crescente nel perseguimento di strategie di crescita delle imprese coerenti con la valorizzazione delle risorse umane, sia in termini occupazionali che di incremento della ricchezza complessiva dei lavoratori.
      Il sistema italiano sta affrontando una profonda fase di trasformazione che indubitabilmente tende a privilegiare il ruolo del mercato nella struttura proprietaria delle imprese e nella allocazione del risparmio, aprendo ampi spazi a una nuova ricomposizione dei rapporti tra capitale e lavoro nelle direzioni indicate. Pesano in tale prospettiva i ritardi, anche di natura culturale, che caratterizzano il quadro all'interno del quale può realizzarsi tale evoluzione. In primo luogo, appare evidente la mancanza di strumenti giuridici adeguati per la gestione collettiva dell'azionariato dei dipendenti. Gli strumenti attualmente disponibili (associazione di azionisti, raccolta di deleghe, intestazione fiduciaria, patto di sindacato, costituzione di una società o di una cooperativa ad hoc) sono inadeguati in quanto:

          richiedono procedure costose e complesse;

          intervengono nella fase successiva al collocamento delle azioni ai singoli dipendenti, rendendo quindi necessaria una difficile attività di «compattamento», i cui costi per i singoli dipendenti, in termini di rinuncia o di riduzione della liquidità del proprio investimento, sono certi e quantificabili, mentre i benefìci, in termini di

 

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possibilità di influire sulla conduzione della società, sono incerti e di natura non monetaria.

      In secondo luogo, si avverte la mancanza di una politica di incentivazione dell'azionariato dei dipendenti, presente in gran parte degli altri Paesi a capitalismo avanzato, che consenta di accompagnare e di favorire lo sviluppo di tale fenomeno, considerati i rischi e i costi che i dipendenti sono chiamati a sopportare.
      Lo strumento che si propone prevede in sostanza che l'impresa e le rappresentanze dei lavoratori definiscano su base contrattuale un piano di distribuzione di azioni ai dipendenti, la cui gestione sarebbe effettuata in modo accentrato attraverso un particolare fondo ad hoc. Inoltre, le parti coinvolte dovrebbero godere di una serie di agevolazioni, prevalentemente di natura fiscale.
      Il carattere collettivo della gestione e la presenza di agevolazioni appaiono caratteristiche necessarie affinché l'azionariato dei dipendenti possa rivelarsi efficace quale:

          strumento di miglioramento continuo aziendale;

          strumento di partecipazione e di coinvolgimento nella gestione della società;

          canale di finanziamento «speciale» per l'impresa.

      Il raggiungimento di tali obiettivi rende lo strumento potenzialmente gradito a tutte le parti sociali coinvolte: gli azionisti, i lavoratori e la collettività, assumendo una valenza non meramente redistributiva, ma strategica nell'innovazione del sistema industriale e finanziario nazionale.
      La scelta di coinvolgere i lavoratori collettivamente nella proprietà (cioè tramite l'uso dello strumento azionario) consente di beneficiare in tutti i sensi della partecipazione (legando cioè i diritti patrimoniali e di voto), cosa che per esempio il profit sharing o la partecipazione per statuto dei lavoratori in sede di controllo non consentirebbero. Tali benefìci si riflettono:

          sugli azionisti (attraverso il maggiore coinvolgimento del fattore umano nell'impresa e la possibilità di reperire risorse finanziarie aggiuntive);

          sui lavoratori (attraverso un maggior ruolo nella conoscenza e nel controllo dell'impresa);

          sulla collettività (per tutte le esternalità che genera una relazione «armonica» tra capitale e lavoro).

      La previsione di specifiche misure di agevolazione è funzionale al superamento dei vincoli finanziari dei lavoratori, che si esplicano in prima battuta poiché il piano determina certamente un'allocazione non ottimale del rischio o, ancora più decisamente, quando si verifica un'effettiva indisponibilità delle risorse finanziarie necessarie allo scopo.
      Riguardo al primo punto, lo svantaggio derivante dalla concentrazione del rischio può essere bilanciato dalla convenienza dell'emissione, cioè da uno sconto sui «giusti» valori dell'emissione.
      Considerato che i costi dello sconto ricadrebbero esclusivamente sugli azionisti, mentre i benefìci della partecipazione si estendono anche alla collettività, ragioni di equità suggeriscono che una parte dello «sconto» sia concessa per il tramite di agevolazioni fiscali.
      Riguardo al secondo punto, si potrebbe pensare di «finanziare i finanziatori», cioè di canalizzare risorse finanziarie «agevolate» sui lavoratori affinché possano partecipare all'emissione. L'opportunità di favorire il finanziamento dei lavoratori verso l'impresa si giustifica anche per il ruolo segnaletico dell'insider-lavoratore che si mette in gioco e che di fatto si vincola così a garantire il proprio contributo in termini di impegno e di controllo. Questo risvolto potrebbe essere di centrale importanza specialmente per le imprese in fase di dissesto finanziario, per quelle in fase di quotazione-privatizzazione, caratterizzate da maggiori problemi di asimmetrie

 

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informative, e, infine, per quelle operanti in contesti «svantaggiati», per le quali la partecipazione attiva di tutti i soggetti coinvolti è un'indispensabile garanzia per poter aggregare adesioni e supporti alle iniziative imprenditoriali.
      L'oggetto della presente proposta di legge riguarda le offerte di azioni ai dipendenti realizzate attraverso l'istituzione di «piani di azionariato dei dipendenti». Tali piani devono assumere determinate caratteristiche che garantiscano la natura contrattuale e collettiva del coinvolgimento dei dipendenti nel capitale. I piani hanno natura volontaria e non speculativa, ma anzi orientata a una partecipazione di medio-lungo periodo al capitale, ferma restando la possibilità di «uscita dall'investimento» in caso di mutamenti degli assetti di controllo. La partecipazione al fondo è incrementabile da parte degli aderenti che possono apportarvi i titoli posseduti o acquistati individualmente.
      Per i fondi comuni d'impresa si prevede una disciplina ad hoc che definisca la loro specificità in funzione del ruolo che devono svolgere di strumento collettivo di partecipazione dei dipendenti, ferma restando la necessaria tutela dei diritti individuali degli aderenti.
      I fondi, coerentemente con la loro natura di strumento collettivo di partecipazione stabile al capitale, non svolgono attività di trading ma «amministrano» le azioni apportate e i relativi diritti. Il recesso dal piano può essere realizzato, a scelta dell'aderente, mediante l'assegnazione degli strumenti finanziari di sua competenza o la liquidazione in denaro del loro valore determinato in base ai criteri generali applicabili alle quote o alle azioni di organismi di investimento collettivo del risparmio (OICR). Il trattamento fiscale dei piani prevede alcune agevolazioni finalizzate soprattutto a favorire l'allungamento della durata dell'investimento e l'eventuale apporto finanziario da parte degli aderenti per la realizzazione del piano.
      Lo schema dell'articolato. - La presente proposta di legge comprende 25 articoli, riportati in quattro capi, dedicati all'informazione e alla consultazione dei lavoratori (capo I), alla partecipazione dei lavoratori (capo II), al rendiconto aziendale (capo III) e alla partecipazione azionaria dei lavoratori (capo IV).
      Capo I. (Norme in materia di informazione e consultazione dei lavoratori). - L'articolo 1 delimita il campo di applicazione delle norme in materia di informazione e consultazione dei lavoratori, comprendendovi solo le imprese che occupano complessivamente più di trentacinque dipendenti, indicando anche i relativi criteri di computo dei dipendenti stessi. In queste imprese i rappresentanti sindacali aziendali dei lavoratori hanno diritto di essere informati e consultati, anche congiuntamente ai sindacati territoriali, sulle materie e con le procedure individuate dalla contrattazione collettiva. Le aziende sono comunque obbligate ad informare e consultare i rappresentanti dei lavoratori su determinate materie che la presente proposta di legge individua in termini conformi a quelli usati dalla direttiva 2002/14/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 marzo 2002 «che istituisce un quadro generale relativo all'informazione e alla consultazione dei lavoratori».
      L'articolo 2 individua le modalità dell'informazione e della consultazione, stabilendo, in conformità all'articolo 27 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (adottata dal Consiglio europeo di Nizza nel dicembre del 2000) e a varie direttive del Consiglio dell'Unione europea, che tali procedure debbano essere svolte in tempo utile, secondo le modalità e le condizioni previste dalla legge e dai contratti collettivi e con modalità tali da favorire un dialogo effettivo tra l'azienda e i rappresentanti dei lavoratori, anche al fine di ricercare un accordo sulle decisioni che dipendono dal potere di direzione del datore di lavoro.
      L'articolo 3 prevede anzitutto l'obbligo dei rappresentanti dei lavoratori che abbiano partecipato alle procedure di informazione e consultazione di non divulgare le informazioni ricevute in via riservata e qualificate come tali dall'impresa, applicandosi in caso di violazione le sanzioni
 

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disciplinari previste dai contratti collettivi vigenti. In secondo luogo consente alle imprese di non comunicare quelle informazioni che possano creare notevoli difficoltà alla loro attività o arrecare danno o provocare turbativa dei mercati. Le controversie relative all'effettivo carattere di riservatezza delle informazioni possono essere rimesse a speciali commissioni tecniche di conciliazione istituite dai contratti e dagli accordi collettivi, con modalità analoghe a quelle previste dal decreto legislativo n. 74 del 2002, di attuazione della citata direttiva 94/45/CE «relativa all'istituzione di un comitato aziendale europeo o di una procedura per l'informazione e la consultazione dei lavoratori nelle imprese e nei gruppi di imprese di dimensioni comunitarie».
      L'articolo 4 prevede che la disciplina dei diritti di informazione e consultazione contenuta nella presente proposta di legge non modifica le norme in materia di diritti di informazione e consultazione contenute nei contratti collettivi vigenti e nelle leggi di recepimento delle direttive comunitarie sui trasferimenti d'azienda e sui licenziamenti collettivi.
      L'articolo 5 dispone che il mancato rispetto degli obblighi di informazione e consultazione costituisce condotta antisindacale, sanzionabile ai sensi dell'articolo 28 dello Statuto dei lavoratori (legge n. 300 del 1970).
      Capo II. (Norme in materia di partecipazione dei lavoratori). - L'articolo 6 delimita il campo di applicazione delle norme in materia di partecipazione dei lavoratori, comprendendovi solo le imprese che abbiano i seguenti requisiti:

          siano esercitate in forma di Spa, o siano costituite in forma di Società europea, conformemente al regolamento (CE) n. 2157/2001 del Consiglio, dell'8 ottobre 2001 «relativo allo Statuto della Società europea (SE)»;

          in base al loro statuto, l'amministrazione e il controllo siano esercitati da un consiglio di gestione e da un consiglio di sorveglianza, in conformità agli articoli da 2409-octies a 2409-quaterdecies del codice civile, introdotti dal decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 6, recante «Riforma organica della disciplina delle società di capitali e società cooperative», e successivamente modificati, che consentono alle sole Spa la possibilità dell'«amministrazione opzionale», nel senso dell'adozione del cosiddetto «sistema dualistico» (consiglio di gestione e consiglio di sorveglianza);

          occupino complessivamente più di trecento dipendenti.

      Nelle suddette imprese, a richiesta dei rappresentanti aziendali o sindacali dei lavoratori, o di una qualificata percentuale di questi, deve essere prevista la partecipazione di rappresentanti dei lavoratori nel consiglio di sorveglianza, per una quota non inferiore a un quinto e non superiore alla metà dei componenti, secondo quanto previsto dalla contrattazione collettiva. Salvo che lo statuto non preveda un maggior numero di componenti, il consiglio di sorveglianza integrato dai rappresentanti dei lavoratori deve comprendere almeno cinque seggi.
      Infine l'ultimo comma dell'articolo 6 prevede che anche ai membri del consiglio di sorveglianza in rappresentanza dei lavoratori si applichino, in quanto compatibili, una serie di disposizioni del codice civile, introdotte dal citato decreto legislativo n. 6 del 2003, concernenti i poteri e le responsabilità dei componenti di organi societari.
      L'articolo 7 indica i criteri generali per la ripartizione dei seggi spettanti ai rappresentanti dei lavoratori nel consiglio di sorveglianza, affidandone una determinazione specifica all'autonomia collettiva, tale comunque da garantire sia un equo riparto dei seggi tra lavoratori dipendenti e membri designati delle associazioni sindacali sia, se possibile, la rappresentanza delle varie categorie di lavoratori (impiegati, quadri, dirigenti).
      L'articolo 8 stabilisce che tra i membri del consiglio di sorveglianza sia prevista la presenza di rappresentanti dei dipendenti che aderiscono ai piani di azionariato di cui all'articolo 20.

 

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      L'articolo 9 indica i criteri direttivi ai quali devono conformarsi le procedure e i regolamenti elettorali, più specificamente disciplinati dalla contrattazione collettiva ai sensi di quanto previsto dall'articolo 10, stabilendo in ogni caso che l'elezione è a scrutinio segreto e a voto libero.
      L'articolo 10 affida alla contrattazione collettiva la disciplina specifica delle regole e delle procedure relative all'elezione dei rappresentanti dei lavoratori nel consiglio di sorveglianza, nel rispetto dei criteri stabiliti negli articoli precedenti, prevedendo altresì che, in mancanza di specifiche previsioni contrattuali, le procedure elettorali debbano svolgersi secondo appositi regolamenti elettorali da emanare con appositi decreti dei Ministri competenti, previamente concordati con le organizzazioni sindacali dei lavoratori.
      L'articolo 11 obbliga le imprese con almeno trecento dipendenti, sia quelle costituite in forma di Spa nelle quali non sia prevista una partecipazione dei lavoratori nel consiglio di sorveglianza ai sensi del articolo 6, sia quelle costituite in qualsiasi forma di società, a prevedere l'istituzione di un comitato consultivo composto da rappresentanti dei lavoratori, il quale è titolare di determinati diritti di informazione e consultazione, indicati all'articolo 12. Sono inoltre soggetti a tale obbligo i gruppi di società collegate, controllanti o controllate ai sensi dell'articolo 2359 del codice civile da altre società anche estere, per i quali valgono specifiche previsioni in ordine alla dimensione numerica.
      L'articolo 12 concerne le informazioni obbligatorie che gli organi di amministrazione delle società sono tenuti a trasmettere periodicamente ai comitati consultivi, indicandone i criteri e le modalità generali nonché le materie che formano oggetto dell'informazione. Su tali relazioni periodiche il comitato consultivo può esprimere un parere preventivo e non vincolante ma può anche formulare osservazioni e raccomandazioni allorché le informazioni abbiano ad oggetto proposte di deliberazione della società concernenti materie che comportino rilevanti conseguenze sulle condizioni di lavoro e sull'occupazione dei lavoratori.
      L'articolo 13 rimette alla contrattazione collettiva il compito di disciplinare le procedure elettorali, la composizione del comitato consultivo e la nomina dei suoi componenti nonché di indicare i requisiti di eleggibilità degli stessi.
      L'articolo 14 affida allo stesso comitato consultivo il compito di disciplinare con propri regolamenti la sua organizzazione e le modalità del suo funzionamento, nel rispetto delle disposizioni di legge e contrattuali.
      L'articolo 15 prevede in primo luogo l'obbligo dei componenti del comitato consultivo di non divulgare le informazioni ricevute in via riservata e qualificate come tali dall'impresa, applicandosi in caso di violazione le sanzioni disciplinari previste dai contratti collettivi. In secondo luogo consente ai datori di lavoro di non comunicare quelle informazioni che possano creare notevoli difficoltà alla loro attività o arrecare danno o provocare turbativa dei mercati. Le controversie relative all'effettivo carattere di riservatezza delle informazioni possono essere rimesse a speciali commissioni tecniche di conciliazione istituite dai contratti e dagli accordi collettivi, con modalità analoghe a quelle previste dal decreto legislativo n. 74 del 2002, di attuazione della citata direttiva 94/45/CE.
      L'articolo 16 individua alcune precise garanzie per i componenti del comitato consultivo - così come previsto per analoghi organismi consultivi aziendali istituiti in rappresentanza dei lavoratori, come ad esempio i comitati aziendali europei - disponendo anzitutto che l'impresa sopporti l'onere economico per l'elezione e il funzionamento del comitato consultivo e, in secondo luogo, che i membri del suddetto comitato abbiano diritto, se dipendenti dell'impresa in questione, a un minimo di permessi retribuiti, che la contrattazione collettiva può aumentare, nonché alle tutele e alle garanzie previste dalla legge per le rappresentanze aziendali dei lavoratori.
 

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      L'articolo 17 dispone che il mancato rispetto degli obblighi di informazione e consultazione del comitato consultivo costituisce condotta antisindacale, sanzionabile ai sensi dell'articolo 28 dello Statuto dei lavoratori (legge n. 300 del 1970).
      Capo III. (Norme in materia di rendiconto aziendale). - L'articolo 18 obbliga le società con più di trecento lavoratori a redigere annualmente un rendiconto aziendale, sulla base degli stessi princìpi previsti dal codice civile per il bilancio di esercizio, che rappresenti in modo veritiero e corretto la situazione economica, finanziaria e sociale della società, tenendo conto di alcune precise voci. Il rendiconto aziendale, da allegare al bilancio di esercizio, deve essere trasmesso in copia al comitato consultivo istituito ai sensi dell'articolo 11 nonché alle rappresentanze sindacali unitarie o aziendali dei lavoratori e, in forma divulgativa, al personale aziendale.
      Capo IV. (Norme in materia di partecipazione azionaria dei lavoratori). - L'articolo 19 individua il campo di applicazione soggettivo delle norme in materia di partecipazione azionaria dei lavoratori, comprendendovi tutti i dipendenti della società datrice di lavoro, senza distinzione in base al tipo di rapporto di lavoro, ad eccezione dei lavoratori in prova. Previo consenso dei rappresentanti dei lavoratori, i piani di azionariato dei dipendenti (come definiti dall'articolo 20) possono essere estesi anche a favore dei dipendenti delle società controllanti, controllate o collegate. I prestatori di lavoro assunti, a tempo determinato o indeterminato, da società abilitate alla somministrazione di manodopera possono aderire ai piani di azionariato di tali società. Sono equiparati ai normali lavoratori dipendenti i prestatori di lavoro a progetto.
       Infine, possono aderire ai piani anche gli ex dipendenti a riposo da tre anni.
      L'articolo 20 definisce i piani di azionariato dei dipendenti stabilendo che essi:

          devono essere costituiti sulla base di contratti collettivi a livello aziendale o multi-aziendale;

          sono attuati mediante la costituzione di apposite società di investimento a capitale variabile (SICAV) denominate «fondi comuni d'impresa»;

          prevedono l'assegnazione delle azioni della o delle società interessate al fondo che emette in contropartita sue azioni assegnate ai dipendenti in ragione della loro adesione al piano.

      L'articolo 21 stabilisce che:

          l'adesione al piano da parte dei singoli dipendenti è volontaria. I dipendenti che non aderiscono al piano non usufruiranno delle condizioni e delle eventuali agevolazioni previste per gli aderenti. L'adesione al piano non può essere fonte di discriminazioni e deve in ogni caso garantire ai singoli lavoratori parità di trattamento a pari condizioni di lavoro e anzianità di servizio;

          il piano deve prevedere un periodo minimo di possesso delle azioni del fondo da parte degli aderenti che non può essere inferiore a tre anni. Tale limite non si applica in caso di offerta pubblica di acquisto o di scambio che coinvolga gli strumenti finanziari oggetto del piano;

          possono essere conferiti al fondo gli strumenti finanziari oggetto del piano che siano posseduti o acquistati dagli aderenti;

          ai fini dell'adesione al piano il dipendente in servizio può chiedere un'anticipazione del trattamento di fine rapporto, nella misura stabilita dai contratti o dagli accordi collettivi;

          sulla base di apposite previsioni dei contratti collettivi, per l'adesione al piano è possibile destinare una quota parte della retribuzione integrativa o incentivante, in misura non superiore al 15 per cento della retribuzione globale di fatto, cioè in una misura percentuale compatibile con l'articolo 36 della Costituzione;

          in caso di violazione delle disposizioni in oggetto trovano applicazione le disposizioni di cui agli articoli 15, 16 e 28 della legge 20 maggio 1970, n. 300, e

 

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successive modificazioni, nonché di quelle del codice delle pari opportunità tra uomo e donna e l'articolo 43 del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, che sanzionano comportamenti discriminatori del datore di lavoro in ragione dell'attività sindacale, del sesso, della cittadinanza e della nazionalità.

      L'articolo 22 prevede che:

          ai fondi non si applicano le disposizioni generali sulla gestione del risparmio, tranne le forme principali di garanzia costituite dall'obbligo di deposito degli strumenti finanziari posseduti presso un soggetto autorizzato, e dal dovere di adottare regole di comportamento che garantiscano gli interessi dei partecipanti al fondo;

          le regole di governance dei fondi, in parte ispirate a quella delle cooperative, sono finalizzate a incentivare la partecipazione dei soci e a valorizzare gli elementi di omogeneità tra i soci stessi (voto capitario, gradimento all'entrata di nuovi azionisti, possibilità di assemblee separate);

          nel caso di piani che coinvolgono più società, i fondi sono costituiti con un comparto dedicato ad ogni società;

          i fondi sono considerati investitori professionali e quindi possono partecipare a collocamenti privati di strumenti finanziari.

      L'articolo 23 prevede che:

          i fondi non effettuano operazioni di investimento e disinvestimento del loro patrimonio che non siano finalizzate all'investimento dei dividendi e degli altri proventi percepiti (che devono essere investiti in strumenti finanziari emessi dalle società che hanno istituito il piano) e al rimborso delle loro azioni agli aderenti nei casi e nelle condizioni previsti (richiesta del recesso in denaro a scadenza del limite minimo di durata od offerta pubblica di acquisto);

          i fondi possono sollecitare deleghe di voto per le azioni non apportate al fondo detenute dai dipendenti delle società che hanno istituito il piano, senza doversi avvalere di un intermediario e senza dover possedere i requisiti di possesso previsti per gli altri soggetti, ferma restando l'applicazione delle necessarie regole di trasparenza e correttezza stabilite dalla Commissione nazionale per le società e la borsa.

      L'articolo 24 definisce le modalità con le quali l'aderente può richiedere il recesso dal piano, prevedendo la liquidazione in danaro della quota assegnata allo stesso ovvero l'assegnazione degli strumenti finanziari oggetto del piano.
      L'articolo 25 prevede che:

          è elevato a 2.582,28 euro il limite massimo per l'esclusione dal reddito imponibile dei dipendenti del valore delle azioni assegnate nell'ambito di un piano, qualora il limite di durata del possesso sia portato ad almeno quattro anni;

          è escluso dal reddito imponibile dei dipendenti il valore dei prestiti di fedeltà concessi a condizione di favore dalle società per la sottoscrizione delle azioni del fondo;

          è possibile la detrazione dall'imposta sul reddito delle persone fisiche del 19 per cento dell'importo versato dagli aderenti in sede di sottoscrizione delle azioni della SICAV fino al massimo di 5.164,57 euro.

 

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